12 November, 2008

Il trasporto pubblico


Funziona.
Bisogna dirlo, in Venezuela il trasporto pubblico funziona.
E non è che funziona perché i mezzi sono tutti belli e puliti e con l’aria condizionata. Funziona perché sono talmente tanti che ogni persona ha almeno un parente o un amico che nella sua vita fa il guido di autobus.
Ovviamente, grazie a una costante evoluzione, hanno raggiunto una perfezione di funzionamento che noi, tra 50 anni, ci sogneremo ancora.
Per prima cosa infatti hanno levato le fermate.
Tranne in alcuni posti di enorme afflusso di passeggeri, ma dico proprio enorme, non ci sono fermate. Se tu vuoi scendere urli.
Il bus da 25 posti contiene 84 persone pigiate, ad un certo punto dal profondo dell’ultima fila si leva un urlo…
PARADAAAAAAA!!!!!
E il guido 20 metri dopo si ferma.
Non importa se è nel mezzo di un incrocio, se il semaforo è verde, se così facendo blocca una città intera, lui si ferma.
Il diritto di scendere qui è sacro e inviolabile.
E poi le porte sono sempre aperte.
Giustamente, se a ogni fermata bisogna aprire e chiudere le porte, ha molto più senso lasciarle sempre aperte. Si risparmia un sacco di tempo e sai quante persone in più ci stanno appese fuori dalla porta?
Almeno sette!
Io l’ho fatto un pezzo di strada appeso fuori dalla porta. Mmmm…i sorpassi sono il momento migliore.
E poi sull’autobus c’è la musica, quella colombiana a suon di fisarmoniche è la mia preferita.
I finestrini sono oscurati, per il sole, così sull’autobus è sempre penombra. Se sei fortunato a trovare un posto nelle file di sedili sgualciti devi subito nascondere lo zaino sotto le gambe perché capita che i malandros salgano con le pistole e rapinino tutti.
Guidare qui è complicato, il codice della strada è flessibile in base alla grandezza del veicolo e alla potenza del clacson.
Questo viene infatti usato come normale strumento di guida. Quando stai prendendo la patente l’istruttore ti insegna prima a suonare il clacson e poi a mettere in moto.
Però nessuno si insulta dai finestrini. Si guardano sorridenti e suonano.
Ora vado a prendere il trolley bus, l’orgoglio di Merida. E’ quello che da noi una volta chiamavano filobus. Ha la corsia preferenziale così ci mette meno tempo. E’ nuovo nuovo e le fermate hanno gli schermi piatti che ti informano sui minuti di attesa per il mezzo successivo.
E poi a ogni fermata ci sono quattro o cinque persone di servizio. Tutti molto gentili.
Una ha l’incarico di inserirti il biglietto nella timbratrice e ridartelo.
Peccato che è gratis.

04 November, 2008

Alle terme di Tabay


La cittadina di Tabay si trova a circa 45 minuti di autobus da Merida.
Il potente mezzo incaricato di condurci alla meta risale ai gloriosi anni 70’, periodo in cui un operaio venezuelano guadagnava più che uno italiano. La “buseta”, così la chiamano i locali, presenta degli importanti interventi estetici che in gergo automobilistico verrebbero chiamate “tamarrate”.
Alla consistente velocità media di 30 km orari su strade dissestate in mezzo alle Ande arriviamo alla prima destinazione. Di qui si continua in fuoristrada, le strade sono troppo strette.
Ci inerpichiamo su per la montagna, le buche nel terreno si fanno sentire sulle panche del cassone, siamo in 12 su una macchina da 6 posti. L’autista tira fuori una bottiglia di rum, è compresa nel biglietto e ce la passa festante solo dopo aver dato una bella golata. Tanto per infondere un po’ di sicurezza ai suoi passeggeri.
L’atmosfera si riscalda, io Federico e Taiko alziamo l’età media del gruppo. Viene richiesta a gran voce una canzone del Gigi d’Alessio locale e…non l’avessero mai fatto.
E vai, si canta! Non chiedevo di meglio.
Ho fatto 15.000 km per cantare Gigi d’Alessio nel cassone di una Toyota guidata da un autista ubriaco nel mezzo della foresta con le strade a strapiombo su un dirupo senza fine.
E sto andando alle terme…
Ci scaricano davanti alla porta di una specie di fattoria. Il locale contadino ha intravisto l’affare e ha costruito una piscina alimentata con l’acqua termale. Peccato che l’acqua, arrivando da una sorgente mille metri più a monte in un tubo bucato, di termale non abbia più niente.
E difatti noi, stoici e impavidi nelle nostre decisioni, decidiamo di continuare.
Si, saliamo ancora un po’, a piedi, tanto 30 gradi al 99% di umidità cosa saranno mai…
E che saranno mai...
Dopo 20 minuti di salita i miei vestiti hanno creato una piscina tutto intorno a me, come la banca Mediolanum.
Taiko non si ricorda…c’era un sentiero da qualche parte, ma chissà, magari è friato via.
Un rumore di motore.
Dei pastori! Su una camionetta stile crisi del 29’!
Chiediamo un passaggio, ma certo! salite nel cassone, prego, de donde? Italia, ahhhh, ci sono pastori in Italia? No, siamo un popolo di navigatori.
Siamo in compagnia di altri due uomini. L’unto, quello più sporco, ci mostra orgoglioso una testa di capra appena mozzata. Quanto puzza. Lui, non la capra.
Stanno andando a vaccinare le bestie, si chiacchiera di argomenti agresti, del lavoro nei campi.
Dopo qualche minuto è abbastanza sicuro che non siamo delle spie del governo e tira fuori dalla tasca un sacchettino.
Marijuana. Ma di quella biologica! La coltiva lui nel suo orticello! C’è ne regala un po’ in segno di ospitalità. Che ometti simpatici sti contadini locali.
Ci scaricano dove inizia il sentiero. Paghiamo 15 soldi (3 euro) a un ragazzetto per farci da guida nella foresta. Le piante non sono altissime, ma fitte che creano un soffitto fitto e c’è sempre meno luce.
I moschini pungono come non mangiassero da mesi… ma io sono italiano! ué, ciò il soldo, se voglio vi compro tutti fetenti moschini!
Macché, la cosa non li tange. Pungono lo stesso.
Finalmente giunge alle nostre orecchie un rumore di ruscello. Girata la curva, scostato il ramo, superata la pianta… ecco finalmente la pozza.
Acqua a 40° e puzzo di uovo marcio. Che godimento.
Ci accorgiamo che non siamo soli.
Un uomo nudo ci saluta da sotto la cascatella.

02 November, 2008

Primi giorni



Io lavoro presso la Fundacion Don Bosco.
E’ una specie di casa- famiglia, ci sono circa 40 bambini ospiti, dai 6 ai 18 anni, che passano li la settimana per poi tornare a casa il sabato.
E poi ci sono circa 40 persone che ci lavorano ma, che ci facciano li, nessuno lo ha ancora capito.
Inoltre, per mantenere lo spirito di casa-famiglia, buona parte di queste 40 provengono tutte dalla stessa famiglia. Allargata ovviamente.
Jarima, la direttrice, mi spiegava l’altro giorno che, dato che siamo esseri umani, può capitare che ci sia quella mattina che ci manca talmente tanto la ragazza/o che non possiamo andare al lavoro. Allora in questi casi non è che ci si deve sforzare, se capita si sta a casa e basta.
Siamo esseri umani dopo tutto.
C’è gente qui a cui sono morti i nonni 17 volte nell’ultimo anno. E lavorano in Fundacion da 10 anni! Lascio a voi il conto.
E poi ci sono i bambini. Come sono carini!!!! Ognuno ha delle sue proprie qualità.
A Richard, ad esempio, piace correre nudo per le stanze. A lui piace anche arrampicarsi sui mobili.
Si potrebbe dire che corre e si arrampica nudo sui mobili.
E poi ci sono José e Gonzales. A loro piace frustare con la cintura chi si arrampica nudo sui mobili.
Quindi, ricapitolando, entro in stanza e mi trovo Richard appollaiato su un mobile a due metri d’altezza che urla e non riesce a scendere perché gli altri due gli tirano delle fustigate sul sedere con le cinture facendo una specie di danza della pioggia.
Tento di intiepidire la situazione e mi becco una fustigata anch’io.
Abdico, se la vedano tra loro.
I bambini qui sono un po’ degli animali, direttamente dalla giungla alla tavola.
Gonzales è tanto carino, è il più piccolo! Ha due orecchie a sventola che sembra dumbo e difatti tutti lo chiamano dumbo. Però a lui non piace e così quando succede si trasforma nell’incredibile Hulk e spacca tutto.
Poi ogni tanto prendo le sue parti e così lui è contento.
Però l’altro giorno è scappato da scuola. Hanno mandato me a cercarlo.
L’ho trovato inginocchiato per terra nel prato che mangiava l’erba. La mangiava proprio!
Mi ha offerto un trifoglio, dice che sono i più buoni.
Ho cortesemente declinato.