20 July, 2009

A caccia dell’anaconda


Il Toyota Land Cruiser percorre gli ultimi 100 metri di strada tra buche fangose. La via di comunicazione è stata costruita su un terrapieno per impedirle di essere sommersa dall’acqua durante le piogge, ma la scarsa manutenzione degli ultimi anni si sta facendo sentire.
Lui ci accoglie con un tatuaggio di tigre sul bicipite sinistro. Non è molto alto, ma ha il corpo tozzo e muscoloso. Abbronzato dalle molte ore passate all’aperto, porta un cappello a tesa larga fatto, come ci spiega orgoglioso, di “fibre vegetali indistruttibili”. Gli è stato regalato 15 anni fa e, nonostante non sia mai stato lavato, fa ancora la sua porca figura.
Indossa dei jeans strappati sporchi di fango, un paio di scarpe di tela artigianali e un coltello di 40 centimetri. E’ tutto quello che gli serve.
Ne va molto orgoglioso, è un’arma non troppo lunga (40cm??), facile da maneggiare ma nel contempo abbastanza pesante da permetterti di trapassare la pelle di un coccodrillo, caso mai ce ne fosse bisogno.
Lo guarda come fosse suo figlio, probabilmente sta pensando a quante avventure hanno passato insieme. Dice che oggetti del genere non si trovano in giro, è possibile acquistarli solo nei mercati contadini delle sterminate pianure venezuelane.
Me lo fa tenere in mano un momento, c’è scritto “Made in Japan”.

L’accampamento dove alloggiamo è formato da due edifici in muratura più il recinto per i cavalli. La stanza degli ospiti è composta da 4 pareti con un tetto in lamiera e 6 amache. C’è anche la luce elettrica, hanno installato da poco un impianto di pannelli fotovoltaici grazie ad un progetto finanziato dallo stato.
Per cena hanno ammazzato un maiale e ora sta girando sullo spiedo spandendo un profumo di carne arrosto che si sente per chilometri.

Lui, il personaggio del coltello, si chiama Tony Martin. Ha iniziato a fare da guida nello Llano ( un territorio praticamente disabitato grande quanto l’Italia) quasi 20 anni fa.
Tanto per capirci è il tipo di persona che si butta nella notte dalla jeep in corsa, sparisce nella vegetazione e dopo 5 minuti torna con in mano un piccolo caimano lungo un metro.
Giura che il giorno prima un tipo a detto ad un altro che poi ha parlato con un amico che l’ha detto alla sorella che sta insieme al cognato del panettiere che ha venduto il cavallo al figlio del proprietario dell’accampamento che ha visto un’anaconda di 7 metri a pochi chilometri dalla casa di un tipo che lui conosce. Anzi, che tutti conoscono. Mi sono perso un passaggio probabilmente.
Comunque, fatto sta che, nonostante sia fortemente sconsigliato da tutti per le condizioni del terreno, dobbiamo assolutamente andare a scovare l’animale.
Partiamo aggrappati al tetto del Land Cruiser, ci sono 30 centimetri di pantano, ma Josè sembra fare miracoli con il mezzo. Sbandiamo un centinaio di volte, sembra di fare rafting, ma finalmente arriviamo sul luogo dell’avvistamento.
E’ una specie di enorme lago circondato da alberi bassi. Il posto è bellissimo, un branco di capibara, un animale che assomiglia ad un topo ma è grande quanto un maiale, si immerge nell’acqua scomparendo tra le mangrovie.
E’ ormai quasi il tramonto e l’orizzonte si colora di rosso fuoco.
Tony si arma di un lungo bastone e inizia a immergerlo nell’acqua con regolarità. L’anaconda si nasconde sul fondale perché in questo periodo dell’anno sta per partorire i piccoli anacondini.
Dopo circa 30 minuti di infruttuose ricerche un urlo si alza sovrumano dalle tenebre.
Il personaggio si sbraccia, sembra che questa volta abbia trovato qualcosa di grosso. A pochi metri dalla riva si intravede un’ombra scura e qualcosa che assomiglia ad una testa spunta dall’acqua. Ci avviciniamo senza fare rumore.
Eccola li, maestosa come non mai, l’anaconda.
E invece no, era semplicemente una pietra. Cavolo.

02 July, 2009

Insetti


E’ una lotta impari.
Loro si nascondono tra le pieghe delle tende.
E tu no.
Loro si riproducono ogni settimana a decine anzi centinaia.
E tu no. (meno male)
Loro mangiano la spazzatura.
E tu no.
E questo è un vantaggio mica da niente! Con tutta la spazzatura che c’è al mondo hanno trovato il perfetto sistema per sopravvivere per sempre.

Non c’è un termine preciso per tradurre la parola “cucaracha”. Si potrebbe usare “scarafaggio”, ma non sarebbe la stessa cosa.
La cucaracha e grossa e ha tanta fame. Raggiunge i 5 cm senza grossi problemi e si scofana 5 o 6 crocchette del cane in mezz’ora. Sarebbe come una persona si mangiasse un vitello in 20 minuti.
Il cane ha una paura folle. Si chiama Nube ed è un barboncino bianco sporco.
Sporco perché è sporco, non perché bianco sporco sia il suo colore. Normalmente è solo bianco.
Se lo senti che ringhia e abbaia vuol dire che sta lottando contro una cucaracha che gli frega le crocchette.
Sono crocchette a forma di osso, tutte colorate. Gli scarafaggi ne vanno matti.
Allora lui ringhia e abbaia, ma mica si avvicina.
Paura, eh?
Si, si, paura folle.
Allora l’insettone muove le antenne come se niente fosse, tasta il terreno, corre un po’ qua e po’ là e poi si lancia nella ciotola azzurra.
Mangia che è un piacere, divora tutto e finito il pasto corre sprezzante sotto il frigorifero, dove abita e tiene famiglia.

Qui fa sempre caldo e quindi le casa sono tutte bucate. Le finestre raramente si chiudono e quando si chiudono normalmente sono senza vetri.
Quindi ci entra un po’ di tutto, si vive in comunità con la fauna locale, si condivide il tetto con chi ha meno possibilità di noi.
Con l’inizio della stagione delle piogge è successo che le tarme del legno volanti si siano trovate senza un luogo adatto in cui riprodursi. Ed è con commozione per tanta fiducia nei miei confronti che ho scoperto che la loro scelta è caduta sul mio armadio.
Allora, questi esseri funzionano così: nascono che hanno le alette e si mettono a volare in circolo insistentemente senza che uno riesca ad acchiapparle. Poi dopo un paio di giorni perdono le alette e si trasformano in vermi striscianti.
Il contrario delle farfalle.
A questo punto il verme cerca del legno da mangiare, fa crollare un ripiano o due, caga le uova e tutto ricomincia da capo.
Avevo la stanza piena di vermi.
Prima di andare a dormire mi trovavo quindi impegnato in una battuta di caccia al verme. Perché a questi gli piacciono le pieghe del lenzuolo, oltretutto. Sono stato costretto, per più giorni consecutivi, a commettere tra i 10 ed i 15 omicidi premeditati e senza pentimento prima di andare a dormire. E non bastando la pulizia etnica capitava spesso la notte di sentire una presenza, sul braccio o sul naso, insistentemente impegnata ad interrompere i miei bellissimi sogni.

In questi casi ci manca poco che uno raggiunga la pazzia, dopo un po’ si vedono insetti ovunque, anche dove non ci sono. AHHHHHHHHHHH.
E allora sono passato alle maniere forti. Sterminio di massa dunque.
Sono sceso in giardino e ho catturato un paio di ragni. Li ho messi quindi dentro l’armadio in un angolo tranquillo.
Dopo un paio di giorni è iniziata la strage. Io non so come abbiano fatto, fatto sta che hanno chiamato gli amici e hanno iniziato a costruire ragnatele enormi. Questi poveri vermi volanti non hanno avuto scampo. Nel giro di una settimana sono morti tutti. Un olocausto.
Non li ho più tolti i ragni.
Da quel momento non ho mai più avuto problemi con le zanzare la notte.
Sono completamente sparite, neanche una da settimane.
I ragni in compenso sono sempre più grossi.
Ho creato un ecosistema.